Vannacci e la Cannabis: un viaggio (mentale) nel mondo al contrario
Roberto Vannacci, il generale più chiacchierato d’Italia, è ormai una celebrità pop-nazionale, un influencer dell’ultratradizione, salito agli onori delle cronache non solo per i suoi gradi militari ma per il suo celebre libro autoprodotto: Il mondo al contrario. Un titolo che, a giudicare dai contenuti, potrebbe tranquillamente essere anche il riassunto del suo feed mentale.
Nel suo saggio, Vannacci non si limita a esprimere opinioni: lancia cannonate verbali contro un’ampia lista di bersagli – minoranze, migranti, ambientalisti, omosessuali, e chiunque osi infilarsi un paio di pantaloni attillati senza consultare un manuale di galateo militare. Un vero e proprio campo minato ideologico, con trincee scavate tra il politicamente corretto e la nostalgia canaglia per un mondo che forse non è mai esistito [Cosa c’è scritto nel libro del generale Roberto Vannacci: le frasi].
Cannabis? No grazie, preferisco il rosmarino
Ad oggi, Vannacci non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sull’argomento “foglie verdi”, ma possiamo immaginare che il suo entusiasmo per la cannabis sia paragonabile a quello di un alpino per i sandali col calzino. Probabilmente, nella sua personale visione del mondo, l’unica erba ammessa è quella del giardino, curata con spirito patriottico e potata con disciplina.
Il generale, nel suo libro, dipinge il progresso come un cavallo di Troia: qualcosa che distrugge la tradizione, mina l’identità nazionale e fa tremare i pilastri della civiltà italica. Figuriamoci come potrebbe reagire all’idea di legalizzare una pianta che – a detta di molti – “rilassa”, “stimola la creatività” e “favorisce l’empatia”. Tre cose che, nel lessico militare, suonano più o meno come: ammutinamento, diserzione e crollo della disciplina [Il Mondo Al Contrario | Movimento Culturale].
Dialogo immaginario (ma neanche troppo)
Vannacci: “Prima gli immigrati, poi gli ambientalisti, adesso la cannabis? Dove andremo a finire, al festival dell’utopia gender-fluid?”
Attivista pro-cannabis: “Tranquillo Generale, una boccata e ne parliamo con calma…”
Vannacci: “Calma? La calma è per i nemici dello Stato!”
Attivista: “Ma lo sa che anche Enea fumava qualcosa prima di scappare da Troia?”
Vannacci (probabile reazione): “Enea era un profugo! E io non commento la mitologia woke!”
Due mondi (molto) diversi
Da una parte, l’uomo dell’ordine, del rigore, delle marce e dei baluardi culturali; dall’altra, il sostenitore della legalizzazione, con la sua felpa scolorita, la cartina in mano e la convinzione che Bob Marley fosse un filosofo incompreso.
Il confronto tra questi due universi produce un effetto tragicomico irresistibile. Da un lato, l’imperativo categorico “niente sballi!”, dall’altro il motto rilassato “meglio un tiro oggi che una guerra domani”.
Ma chissà, magari anche il Generale, in una notte insonne dopo l’ennesima polemica social, si sarà chiesto: “E se invece di combattere la cannabis, la studiassi? Magari sotto effetto… scientifico, ovviamente.”
Intanto : nel dubbio, libera la parola (e magari anche la pianta)
In fondo, e qui siamo d’accordo con il Generale, la libertà di espressione è sacra. Anche quando le opinioni ci sembrano assurde, offensive, o scritte sotto l’effetto di un’infusione di camomilla marziale.
Ed è proprio questo il paradosso italiano: possiamo leggere Vannacci, possiamo fumare cannabis (in certi contesti), possiamo anche fare entrambe le cose – anche se non contemporaneamente, per motivi di salute mentale.
Insomma, che tu sia un generale in alta uniforme o un hippie in canottiera, una cosa è certa: la libertà non è mai “al contrario”. E se la vuoi difendere, fallo pure con una bandiera in mano… o con una canna accesa. A ognuno la sua rivoluzione.