Oggi, analizzeremo gli studi relativi agli effetti della cannabis sulle patologie epatiche e cercheremo di scoprire se la cannabis può danneggiare il fegato.
Secondo alcuni studi, nei fegati malati è presente un maggior numero di recettori cannabinoid rispetto ai fegati sani. Ovviamente, ciò induce a chiedersi: la marijuana può influire sul fegato? Potrebbe forse essere usata per gestire alcuni problemi legati a quest’organo? In fondo, un fegato ricco di recettori sarà molto più sensibile ai cannabinoidi.
Molti scienziati stanno cercando di trovare la risposta a tale quesito e di seguito analizzeremo alcune delle loro scoperte.
Quale funzione svolge il fegato?
Il fegato è un organo affascinante, e svolge un ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza. Una delle sue principali funzioni è quella del filtraggio: ha infatti il compito di estrarre le molecole benefiche dagli alimenti che ingeriamo e scartare o depurare il resto, preparandolo all’espulsione.
Il fegato è situato appena sotto il diaframma, nella parte destra dell’addome, ed è costituito da un lobo destro, più grande, ed uno sinistro più piccolo. I due lobi sono collegati tra loro con delle fasce di tessuto connettivo, le quali fissano l’intero organo anche alla parete addominale. In media, il fegato di un individuo adulto pesa circa 1,4kg. In una sacca posizionata sotto il fegato c’è la cistifellea, che contiene la bile. La bile viene prodotta dal fegato, e serve a scomporre i lipidi.
La vena porta è uno dei componenti più importanti del fegato. Il sangue proveniente dagli organi dell’apparato digerente attraversa proprio questo vaso, portando con sé molecole benefiche e non. È compito del fegato separare le sostanze utili all’organismo ed immetterle nuovamente nel sangue, affinché vengano utilizzate e predisporre tutto il resto per lo smaltimento. La vitamina K nel fegato viene anche utilizzata per creare le proteine responsabili dei coaguli sanguigni in caso di lesioni.
Tra le altre sostanze, il fegato è in grado di processare—in modo sorprendentemente efficiente—anche le droghe.
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Quali sono i disturbi epatici più comuni?
Nel complesso, il fegato è un organo incredibilmente robusto, capace di incassare duri colpi e di gestire anche sostanze sintetiche che non sarebbe predisposto a metabolizzare. Ad ogni modo, a causa di varie sostanze e patologie, il fegato può sviluppare disturbi anche gravi.
Alcune delle patologie epatiche più comuni includono:
Epatite | Questo virus colpisce il fegato e, se non viene trattato, può risultare fatale. La malattia provoca cicatrici che interferiscono con il normale funzionamento dell’organo. |
Steatosi Epatica o Fegato Grasso (FLD) | Questa condizione può essere causata da vari fattori, tra cui alcolismo cronico, obesità o stile di vita sedentario. Il grasso si accumula progressivamente nel fegato, riducendone la funzionalità e provocando insufficienza epatica. |
Fibrosi epatica | È caratterizzata da una cicatrizzazione del tessuto fibrotico. Anche questa patologia può essere causata da uno stile di vita poco sano e, se non viene trattata adeguatamente, il tessuto cicatriziale può diventare talmente abbondante da danneggiare gravemente il fegato. |
Cirrosi | È lo stadio finale della malattia causata dalla fibrosi. |
Come potete notare, il fegato può essere soggetto a numerosi disturbi, molti dei quali sono causati da abitudini e stili di vita insalubri—principalmente abuso di alcol ed obesità. Il fegato entra in contatto con tutto ciò che ingeriamo, e ne subisce le conseguenze. Non c’è quindi da meravigliarsi che possa venir danneggiato da un eccessivo consumo di alcol o cibi spazzatura.
Il fegato è in grado di auto-ripararsi, soprattutto in caso di problemi come la steatosi epatica, se la condizione non è ancora degenerata. Le malattie come la fibrosi sono meno reversibili, a causa dell’accumulo di tessuto cicatriziale. Ognuna di queste patologie può provocare insufficienza epatica, che può condurre alla morte se non viene trattata tempestivamente. Quando il fegato giunge a questo stadio, l’unica soluzione possibile è un trapianto di fegato.
Quindi, in questo caso possiamo sicuramente affermare che la miglior cura è la prevenzione.
La cannabis può influire sul fegato?
Chiunque, nel corso della vita, può soffrire di disturbi epatici, sia a causa di scelte di vita errate, che per semplice sfortuna. Ad ogni modo, per tornare rapidamente in buona salute, è necessario trovare una terapia efficace.
Oggi ci domandiamo: la cannabis (e in particolare i cannabinoidi) potrebbe in futuro svolgere un ruolo importante per la funzionalità epatica?
Per ora, le ricerche scientifiche sono in fase embrionale e non è possibile giungere a conclusioni definitive. Possiamo comunque esaminare gli studi svolti fino ad oggi.
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Cannabis e fibrosi
I recettori cannabinodi, soprattutto i CB1 e CB2, sono diffusi in tutto l’organismo umano, in quantità relativamente abbondanti. Tali recettori, insieme ad endocannabinoidi, enzimi ed altre molecole, compongono il sistema endocannabinoide (SEC).
Gli endocannabinoidi sono cannabinoidi prodotti autonomamente dal corpo umano. Quelli presenti in maggiore quantità sono anandamide e 2-AG. Tali molecole si legano ai recettori cannabinoidi per supportare il corretto funzionamento dell’organismo. Questo è anche il meccanismo d’azione della cannabis: i cannabinoidi presenti nell’erba interagiscono con il SEC, generando effetti unici, ma simili a quelli degli endocannabinoidi.
Di solito nel fegato sono presenti pochissimi recettori CB1 e CB2. Tuttavia, secondo i dati citati in precedenza, il fegato di chi soffre di fibrosi sembra contenere una maggior quantità di recettori rispetto ad un fegato sano.
Si ritiene che tali recettori svolgano un ruolo nella generazione di tessuto cicatriziale—un ruolo profibrogeno[2]. In realtà, la situazione è ben più complessa. Gli studi di Parfieniuk e Flisiak (2008) hanno evidenziato che i due recettori svolgono funzioni diametralmente opposte. A quanto pare, l’attivazione dei recettori CB1 provoca, tra le altre conseguenze, effetti pro-fibrogeni e pro-infiammatori. Una brutta notizia per chi soffre di fibrosi.
L’attivazione del recettore CB2, invece, produce un effetto contrario e potrebbe rappresentare un’opportunità per il trattamento della fibrosi. Tuttavia, il problema è che il THC—il principale cannabinoide della cannabis—è un agonista del recettore CB1, ovvero lo “attiva”.
Un’altra indagine, condotta da Hezode et al. (2005)[3], ha esaminato gli effetti del fumo di cannabis quotidiano su individui con fibrosi al fegato. Il risultato è stato identico: sembra che l’attivazione dei recettori CB1 acceleri lo sviluppo di fibrosi. Ma c’è anche una buona notizia. Secondo uno studio svolto nel 2011[4], l’attivazione dei recettori CB2 potrebbe innescare la morte cellulare delle cellule maligne, riducendo il tessuto cicatriziale.
Tutte queste ricerche mostrano che il SEC e la sua manipolazione, potrebbero generare potenti effetti nei confronti della fibrosi. Acquisendo maggiori informazioni su questa correlazione, in futuro potrebbero emergere nuovi e più efficaci trattamenti.
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Cannabis e steatosi epatica
Gli studi sul potenziale ruolo della cannabis nei casi di steatosi epatica sono ancora in corso e perlopiù contrastanti.
Ad esempio, una ricerca condotta da Purohit, Rapaka e Shurtleff (2010)[5] ha evidenziato che i recettori CB1 sono presenti in quantità maggiori nei fegati affetti da steatosi epatica. Inoltre, l’attivazione dei recettori CB1 sembra provocare lo sviluppo di recettori CB2. Gli esperti hanno quindi concluso che l’attivazione di qualunque tipologia di recettore causa un maggiore accumulo di grasso nel fegato. Tale fenomeno risulta ancora più marcato nei soggetti affetti da steatosi epatica generata dell’epatite.
Uno studio del 2021 svolto da Berk et al.[6] ha analizzato l’effetto dell’attivazione di endocannabinoidi sulla steatosi epatica non alcolica. L’indagine ha prodotto risultati analoghi, orientati verso l’accumulo di grasso nel fegato. Secondo i ricercatori, esaminando questa reazione e modulando correttamente i recettori, potrebbero emergere nuove strategie di trattamento per la steatosi epatica. Tuttavia, non è ancora chiaro se la cannabis possa assumere una funzione di rilievo in tale ambito.
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Cannabis ed epatite
L’epatite virale provoca una malattia autoimmune a carico del fegato. Il ricercatore Hegde e il suo team (2008)[7] hanno cercato di capire se la modulazione delle cellule T attraverso il THC possa incidere sull’infiammazione del fegato causata dall’epatite. È importante notare che questo studio è stato condotto su cavie animali e pertanto non può essere traslato agli esseri umani.
Tuttavia, una delle scoperte più interessanti riguarda l’endocannabinoide anandamide e la sua presunta capacità di abbassare i livelli delle citochine. Di solito, l’anandamide viene rapidamente scomposto dal FAAH, ovvero l’ammide idrolasi degli acidi grassi. Il cannabidiolo (CBD) sembra in grado di inibire questo enzima, lasciando disponibile nell’organismo una maggiore concentrazione di anandamide.
L’epatite può rivelarsi una malattia difficile e il trattamento è spesso complicato. Pertanto, gli scienziati hanno cercato di scoprire se alcuni degli effetti collaterali gravi, associati ai trattamenti dell’epatite, possano essere modulati dalla cannabis o dai cannabinoidi. Nei casi gravi di epatite C, talvolta viene utilizzata la chemioterapia. I sintomi più comuni provocati da tale trattamento includono nausea e anoressia. Detto questo, un’indagine condotta da Costiniuk, Mills e Cooper (2008) ha cercato di esaminare[8] l’influsso della cannabis, somministrata per via orale, su questi sintomi.
Fonte: www.royalqueenseeds.it