Il morbo di Parkinson è una patologia degenerativa che può diventare estremamente debilitante. Si ritiene che questa malattia colpisca circa 1 individuo su 500. I sintomi emergono gradualmente, ma tendono ad aggravarsi con il passare del tempo, iniziando con la perdita di coordinazione dei movimenti fino alla difficoltà a parlare e camminare. Nei soggetti affetti dal Parkinson possono insorgere anche alterazioni mentali e comportamentali. La patologia può colpire sia gli uomini che le donne, ma sembra che gli uomini abbiano il 50% di probabilità in più di sviluppare il morbo. L’età è un fattore di rischio rilevante, poiché la maggior parte dei pazienti manifesta la malattia intorno ai 60 anni.
Sebbene non esistano cure definitive, numerosi trattamenti e terapie possono aiutare i malati a condurre una vita più attiva ed appagante possibile. Molte terapie alternative, tra cui la cannabis, sono considerate potenzialmente benefiche per chi soffre del morbo di Parkinson. Tuttavia, solamente alcune sono riconosciute ed approvate in ambito medico.
Cannabis e morbo di Parkinson
Attualmente, non esistono prove scientifiche sufficienti per dimostrare che le terapie complementari siano in grado di rallentare, arrestare o invertire il decorso della malattia. Tuttavia, molte persone colpite dal morbo di Parkinson hanno dichiarato di aver ottenuto risultati positivi da alcuni di questi trattamenti alternativi. L’obiettivo di questi interventi è rendere i sintomi più gestibili, alleviare il dolore, ridurre lo stress e migliorare la qualità della vita.
I trattamenti complementari includono terapie fisiche, occupazionali e del linguaggio, nonché terapie mente-corpo come yoga e meditazione, trattamenti manipolativi come agopuntura e massaggi e terapie energetiche come Reiki e Qi Gong. Alcune persone si affidano anche a terapie olistiche come Ayurveda e medicina tradizionale cinese.
Dal momento che il Parkinson colpisce il sistema nervoso centrale e la cannabis influenza il sistema nervoso centrale e periferico, le molecole di questa pianta vengono analizzate dagli esperti per determinare i potenziali impatti sulla malattia.
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Quali effetti genera la cannabis sull’organismo?
La cannabis influisce sull’organismo attraverso il sistema endocannabinoide (SEC), una rete regolatrice fondamentale che si avvale di recettori cannabinoidi, neurotrasmettitori (chiamati endocannabinoidi) ed enzimi per modulare il sistema nervoso centrale, quello periferico ed altri ancora.
Il SEC è coinvolto in numerosi processi fisiologici, come l’umore, la memoria, il sonno e l’appetito. Il suo malfunzionamento è stato persino associato ad alcune malattie neurodegenerative, incluso il morbo di Parkinson.
Quando la cannabis viene introdotta nell’organismo, “attiva” questi recettori ed endocannabinoidi, alterando la normale attività dei neurotrasmettitori ed influenzando potenzialmente vari aspetti del SEC.
Ciascun principio attivo della cannabis può interagire con il SEC, scatenando una specifica reazione. Ad esempio, il THC esibisce un’elevata affinità nei confronti dei recettori CB1, mentre il CBD genera un effetto più indiretto.
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Ricerche scientifiche sul ruolo della cannabis per il morbo di Parkinson
Tenendo a mente le precedenti considerazioni, possiamo ora esaminare gli studi scientifici riguardo gli effetti della cannabis sul morbo di Parkinson e le potenzialità di specifici cannabinoidi.
Innanzitutto, uno studio condotto nel 2017 ha chiesto ad alcuni volontari di descrivere gli effetti della cannabis terapeutica sui sintomi del Parkinson, nonché qualsiasi reazione avversa, per un lasso di tempo di almeno tre mesi. I dati raccolti erano ovviamente soggettivi e non potevano dimostrare un’eventuale correlazione. Tuttavia, molti dei partecipanti hanno dichiarato di aver notato un miglioramento dei sintomi mentre assumevano cannabis, sperimentando pochissimi effetti collaterali. Secondo gli autori della ricerca, lo scopo dell’indagine era incoraggiare lo sviluppo di “farmaci più sicuri ed efficaci, derivanti dalla Cannabis sativa”.
Una ricerca pubblicata nel 2020 ha cercato di determinare l’efficacia della cannabis come terapia alternativa per il morbo di Parkinson, osservando nello specifico i fattori che “ostacolano” il suo impiego in ambito medico. Nei 14 studi esaminati, solo cinque dei quali erano test controllati randomizzati, gli autori della ricerca hanno notato che, nonostante alcuni esiti positivi, non esistevano prove sufficienti per classificare la cannabis come trattamento contro il Parkinson.
Ulteriori indagini hanno provato a valutare l’efficacia della cannabis sui sintomi motori come bradicinesia, rigidità, tremori, disturbi del sonno e dolore, così come sui sintomi non motori quali memoria, umore e stanchezza.
Malgrado questi approfondimenti, la cannabis terapeutica resta un argomento controverso. Chi è affetto da morbo di Parkinson dovrebbe sempre consultare il proprio medico prima di sperimentare nuovi trattamenti.
Passiamo ora ad esaminare i potenziali effetti di alcuni cannabinodi, in particolare THC e CBD.
THC |
Secondo un articolo pubblicato nel 2017, intitolato “Pros and Cons of Medical Cannabis use by People with Chronic Brain Disorders” nei modelli animali di morbo di Parkinson, il THC è riuscito a migliorare i marker associati ad attività e coordinazione mano-occhio. L’articolo ha inoltre citato uno studio clinico su 22 pazienti malati di Parkinson, secondo il quale la cannabis terapeutica sembrerebbe capace di attenuare i sintomi motori (come bradicinesia, tremori, rigidità e problemi di equilibrio) ed i sintomi non motori (come insonnia e dolore). |
CBD |
Il CBD è stato oggetto di numerosi studi per le sue potenziali azioni antiossidanti e neuroprotettive, nonché per i suoi presunti effetti ansiolitici. Una ricerca svolta nel 2020 ha esaminato l’effetto del CBD su ansia e tremori nei pazienti con Parkinson ultrasessantenni, spianando la strada ad ulteriori studi clinici controllati randomizzati.
Al momento, è in corso uno studio randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo riguardo la “Tollerabilità ed Efficacia del Cannabidiolo (CBD) sui Sintomi Motori del Morbo di Parkinson”. Questa ricerca contribuirà a definire con maggior chiarezza l’azione del CBD sui principali sintomi del Parkinson, mentre nuovi studi continuano ad esplorare altri aspetti del morbo, come la psicosi. |
Come viene usata la cannabis terapeutica?
Sebbene non esistano linee guida esaustive sull’utilizzo della cannabis per il trattamento del Parkinson, generalmente i pazienti hanno a disposizione le seguenti opzioni:
- Fumare la cannabis
- Inalare la cannabis tramite un vaporizzatore (fiori o concentrati)
- Assumere la cannabis per via orale (edibili)
- Applicare la cannabis localmente (sotto forma di lozioni, oli o creme)
- Somministrare la cannabis per via sublinguale (versando qualche goccia di olio o tintura sotto la lingua)
Ciascun metodo di somministrazione agisce in modo diverso nell’organismo. Gli effetti della cannabis fumata o vaporizzata emergono nel giro di pochi minuti, mentre la cannabis ingerita può produrre effetti dopo una o due ore.
Rispetto ad altri metodi di somministrazione, il fumo di cannabis è associato ad un maggior numero di effetti collaterali. Le ripercussioni a breve termine sono correlate al fumo stesso ed includono irritazione dei polmoni, tosse ed altri problemi respiratori. Con il passare del tempo, il fumo di cannabis può causare disturbi cardiaci o aggravare patologie cardiache preesistenti. Ad ogni modo, non esistono studi clinici che dimostrino una diretta connessione tra uso di cannabis e problemi cardiovascolari.
Chi consuma cannabis sotto forma di edibili o estratti, dovrebbe dosare questi prodotti con cautela. Gli effetti degli edibili emergono con un certo ritardo, ma sono notoriamente più intensi e persistenti di quelli ottenuti fumando la cannabis.
Inoltre, i concentrati di cannabis generano effetti repentini, ma potenzialmente molto più vigorosi di quelli prodotti dalla cannabis fumata.
Fonte: www.royalqueenseeds.it