Il ministro Di Maio dovrebbe assumersi la responsabilità di far sentire la voce del nostro Paese
Il 2 dicembre 2020 la Commissione droghe delle Nazioni unite ha riconosciuto ufficialmente le proprietà medicinali della cannabis. Anche se solo una delle sei raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità alla fine fu adottata, la cannabis non figura più nella tabella IV – quella con le sostanze ritenute più pericolose – in virtù dei suoi impieghi terapeutici.
Da gennaio di quest’anno la Giunta internazionale per gli stupefacenti, INCB, lavora per definire delle linee guida sulla cannabis per fornire consulenza ai paesi che hanno in qualche modo dato seguito alla cancellazione della cannabis dalla tabella.
L’INCB resta un unicum all’interno del sistema delle Nazioni unite, si tratta di un organo indipendente che, in collaborazione con i governi, ha il compito di contrastare il “mercato illegale” delle medicine considerate droghe (come per esempio la morfina ma anche la cannabis) e di favorirne il mercato legale verso i paesi poveri. Altro importante compito è coordinare il lavoro dei governi per “armonizzare” le varie legislazioni in materia, esigere che le Convenzioni vengano pienamente applicate, sostenere, anche economicamente, i paesi poveri sostenendo i loro programmi “antidroga”.
A parte le sue posizioni da sempre molto conservatrici, l’INCB lavora a porte chiuse. I frutti del suo operato si scoprono a cose fatte, certo i suoi membri visitano gli Stati membri dell’Onu per raccogliere dati sulla presenza di stupefacenti illeciti in certi territori e non hanno preclusioni a incontrare anche le ONG, ma la parte deliberativa resta off limits.
Non ci sarebbe niente di nuovo se, appunto, la Commissione Droghe, l’organo politico che all’Onu si interessa del tema, non avesse votato il 2 dicembre 2020 per togliere – per la prima volta in 60 anni – una pianta da una tabella.
Tra il 2016 e il 2020 si è svolto un complesso processo consultivo che ha portato a un accordo tra gli Stati per modificare la tabellazione di “cannabis” e “resina di cannabis” all’interno della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961. Scienziati, persone colpite e associazioni interessate hanno potuto partecipare attivamente e informare il processo per tutto il tempo. Purtroppo, dall’inizio del 2021, l’INCB ha sviluppato delle Linee guida in completa opacità sollevando preoccupazioni sulla legittimità e la portata del processo con rischi di conflitti di interesse.
Pur non essendo vincolanti, le linee guida andranno a influenzare i paesi in via di sviluppo e a modellarne il commercio e la produzione di quella che è una medicina tradizionale a base di erbe e una pianta indigena in molte regioni del mondo.
La mancanza di trasparenza, insieme alle controverse posizioni assunte dall’INCB in materia, rischiano di depotenziare la decisione dell’anno scorso.
Eppure il presidente dell’INCB si era impegnato pubblicamente a organizzare consultazioni anche con le parti interessate della società civile. A oggi questo impegno non è stato mantenuto. Le riunioni dell’INCB sono a porte chiuse, non vengono pubblicati i verbali, c’è più segretezza che per il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite!
Per questo occorre che quei paesi che hanno votato a favore della cancellazione della cannabis, come l’Italia, e che a casa propria ne riconoscono la prescribilità per fini terpauetici, si muovano per tempo affinché quando l’INCB si riunirà per la sua 133a riunione nel febbraio 2022 vengano adottate misure per garantire un processo trasparente che includa anche la società civile – come tra l’altro previsto dall’obiettivo per lo sviluppo sostenibile n.16.
Inoltre, in linea con un altro obiettivo, il 17, tutte le parti interessate, come medici, pazienti, agricoltori, ricercatori ed esperti di regolamentazione nazionale e internazionale dovrebbero avere l’opportunità di contribuire allo sviluppo e al miglioramento di queste linee guida.
Il ministro Di Maio, che in teoria dovrebbe essere a favore della legalizzazione della cannabis, dovrebbe assumersi la responsabilità di far sentire la voce dell’Italia a partire dal Segretario Generale delle Nazioni, perché queste Linee guida non impediscano agli Stati di adempiere ai loro obblighi andando oltre quanto previsto dal sistema di controllo delle droghe, come per esempio il Trattato sulle piante o il Protocollo di Nagoya o le condizioni di chi lavora in quel campo, quindi le Convenzioni dell’ILO, oltre che naturalmente i diritti umani e lo sviluppo sostenibile.
Le linee guida sono di vitale importanza per milioni di persone: pazienti, medici, agricoltori, produttori, produttori farmaceutici di cannabis medica in tutto il mondo e di guaritori tradizionali. È fondamentale che il processo divenga trasparente e inclusivo. Di Maio se lo segni.
Fonte: www.huffingtonpost.it