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Dronabinol , Un Nuovo Alleato contro l’Agitazione nell’Alzheimer

Uno studio clinico condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Tufts University School of Medicine ha dimostrato che il dronabinol, una versione sintetica del THC, può ridurre significativamente l’agitazione nei pazienti affetti da Alzheimer. L’agitazione è uno dei sintomi più complessi e stressanti della malattia, spesso caratterizzata da attività motoria eccessiva, aggressività verbale e fisica. Questo sintomo colpisce circa il 40% dei pazienti affetti da Alzheimer, e rappresenta una delle principali cause di ricovero e necessità di cure a lungo termine.
Lo studio, durato otto anni e condotto su 75 pazienti in cinque diversi centri clinici, ha evidenziato che il dronabinol ha ridotto l’agitazione del 30% rispetto ai pazienti che hanno assunto un placebo. I partecipanti sono stati valutati utilizzando la scala di agitazione di Pittsburgh (PAS) e la sottoscala di agitazione/aggressività dell’inventario neuropsichiatrico (NPI-C). I risultati hanno mostrato un miglioramento significativo nei pazienti trattati con dronabinol, senza la comparsa di effetti collaterali gravi come delirio o convulsioni, che sono spesso associati all’uso di antipsicotici tradizionali.
Secondo Paul Rosenberg, professore di psichiatria e scienze comportamentali alla Johns Hopkins, i risultati di questo studio rappresentano un passo avanti importante nella gestione dell’agitazione nei pazienti affetti da Alzheimer. “L’agitazione è uno dei sintomi più difficili da gestire, e questa scoperta offre una nuova speranza sia per i pazienti che per i loro caregiver”, ha affermato Rosenberg.
Il dronabinol, già approvato dalla FDA nel 1985 per trattare la perdita di appetito nei pazienti con HIV/AIDS e per la nausea nei pazienti sottoposti a chemioterapia, si dimostra quindi efficace anche per il trattamento dei sintomi neuropsichiatrici dell’Alzheimer. Gli autori dello studio auspicano ulteriori ricerche a lungo termine per confermare questi risultati e ampliare il campione di studio.
Per maggiori dettagli, è possibile consultare l’articolo originale sul sito della Johns Hopkins [qui].
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