La legalizzazione della cannabis in Italia è ferma: cosa aspettiamo? Ne abbiamo parlato con rappresentanti di Manifesto Collettivo per la Cannabis Libera e Meglio legale.
Quella della legalizzazione della cannabis in Italia è una discussione che torna ciclicamente, ma che non riesce mai a concretizzarsi.
Nel 2015, ad esempio, una proposta di legge firmata da 218 deputati è stata calendarizzata per la discussione in aula senza giungere a risultati di rilievo. Nel 2016 ad arenarsi è stata la proposta di legge di iniziativa popolare dell’associazione Luca Coscioni e dei Radicali Italiani, mentre nel 2019 c’è stato un breve ritorno del ddl del 2015, poi sepolto da migliaia di emendamenti. Qualche mese dopo è stato il turno di una nuova proposta di legge che prevedeva, tra altre cose, il diritto all’autocoltivazione della pianta.
Intanto, mentre il dibattito parlamentare è rimasto al palo, le leggi che regolano la materia sono ormai vecchie di trent’anni. Dopo la dichiarazione d’incostituzionalità nel 2014 della Fini-Giovanardi, l’Italia è tornata alla Jervolino-Vassalli del 1990—ad eccezione del possesso di cannabis a uso personale, depenalizzato con il referendum del 1993.
Rari ed estemporanei passi in avanti sono avvenuti più per via giudiziaria che legislativa. Nel dicembre 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che la coltivazione domestica della cannabis non è reato, a patto che a consumarla sia solo chi materialmente si dedica alla cura delle piante; già regalarne un solo grammo a un proprio familiare convivente ricade sotto il reato di spaccio. Per il resto, l’autocoltivazione rimane sempre una pratica illegale.
Al di fuori del Parlamento, tuttavia, c’è chi sta provando a sviluppare un discorso consapevole che vada oltre slogan e banalizzazioni. È il caso, ad esempio, di Manifesto Collettivo per la Cannabis Libera: un comitato di 340 associazioni e aziende agricole che hanno sottoscritto una proposta di legge depositata al Senato nel settembre 2019, che parte proprio dal diritto all’autocoltivazione come presupposto per la regolamentazione di un mercato della cannabis che oggi, di fatto, esiste ma è totalmente lasciato in mano al sommerso e al crimine organizzato.
Ci sono poi anche iniziative miste, come Meglio Legale, campagna che coinvolge “parlamentari e medici, imprenditori e avvocati, giornalisti e semplici cittadini” puntando sugli aspetti terapeutici, di filiera controllata del prodotto cannabis e sulle questioni legali che mirano a liberare i tribunali da una serie enorme di micro-procedimenti legati al possesso della sostanza.
In questo pezzo abbiamo raccolto le voci delle persone dietro queste iniziative, dotate di approcci diversi per un obiettivo comune, per farci spiegare cosa significa parlare seriamente di cannabis in Italia, e cosa si può fare concretamente in una situazione come quella italiana.
Tra le realtà sostenitrici che ci ha indicato lo stesso Manifesto Collettivo sono stati intervistati Stefano Auditore Armanasco di Freeweed Board e Marco Maffione di Associazione Canapese. Per Meglio Legale è intervenuta Antonella Soldo dei Radicali.
Stefano Auditore Armanasco – Freeweed Board
Come “Manifesto Collettivo” siamo partiti da un concetto fondante: garantire autoproduzione della cannabis con regole chiare. La proposta di legge che abbiamo depositato parte, infatti, proprio dal principio dell’autocoltivazione, perché è da qui che bisogna iniziare per garantire diritti collettivi e regole chiare.
La sfida vera è comprendere tutte le istanze che provengono dalla società civile per creare un canale di comunicazione con la politica. La novità di questa proposta di legge, infatti, è che davvero parte al di fuori delle aule parlamentari. Nessun politico potrà mai usarla come strumento di propaganda elettorale. Potranno prenderla in carico e perorare la causa, certo, ma non appropriarsene come idea. Il problema è che la società civile è sempre mancata in questo dibattito: a esporsi pubblicamente è sempre e solo il proibizionista, mai chi è consumatore.
Per questo bisogna finalmente arrivare a un punto di svolta: far capire, anche a chi è proibizionista, che legalizzare e liberalizzare significa maggior controllo sul prodotto e persino minor diffusione.
Faccio un esempio sugli adolescenti. Parliamoci chiaro: reperire cannabis, in qualunque città italiana, è oggi una delle cose più facili al mondo. Nella nostra proposta, la vendita ai minorenni non è prevista. Lo spacciatore non si fa troppi problemi su quanti anni abbia il suo cliente; il rivenditore autorizzato è passibile di sanzioni, quindi magari ci pensa più d’una volta prima di vendere illecitamente il prodotto.
Le destre dicono di essere contro lo spaccio? Benissimo. Anche noi lo siamo. Ma reprimere non serve a niente, se prima non si regolamenta. Addirittura noi chiediamo il certificato antimafia per le imprese che vogliano entrare nel settore.
Vogliamo fermare il fenomeno narco-criminale, vogliamo tutela; non pretendiamo di essere maggioranza, che d’improvviso tutti decidano di mettersi a fumare. Ma per troppi anni non c’è stato alcun tipo di progetto sulle sostanze stupefacenti; si è pensato che continuando a reprimere, il fenomeno prima o poi terminasse come per magia.
Certo, la legalizzazione di per sé non basta: portare una cosa da illegale a legale espone comunque al rischio che, in quel mercato, si crei un monopolio. Per questo parliamo anche di liberalizzazione: in un mercato libero della cannabis si creano posti di lavoro, si garantisce la qualità del prodotto e la tracciabilità della filiera.
In definitiva: noi vogliamo libertà di scelta, anche nell’ambito della ricerca. Oggi, i medici e gli studiosi che decidono di dedicarsi alla ricerca sulla cannabis si espongono a critiche feroci. “Manifesto Collettivo” è anche questo: garantire che la conoscenza scientifica progredisca per creare consapevolezza sociale.
Marco Maffione – Associazione Canapese
Il problema di affrontare un discorso sulla cannabis a livello politico non è tanto nella mancanza di volontà, ma nella mancanza di capacità. C’è un’ignoranza spaventosa che, di conseguenza, porta a non voler prendere posizione sul tema. Ti faccio un esempio: si parla sempre e solo dei consumatori, quando poi il consumo è l’ultimo dei problemi. Cannabis terapeutica, cannabis a scopo ludico, cannabis a scopo ricreativo… che senso ha creare queste settorializzazioni?
Come associazione che aderisce a “Manifesto Collettivo”, vogliamo invece parlare di diritti—appunto—collettivi, di come regolamentare il mercato della canapa in un contesto giuridico, politico e sociale come quello italiano. Diritti che hanno una platea universale. Non possiamo pensare di risolvere la singola situazione, come quella di chi ha bisogno della cannabis a scopi curativi, senza al contempo tutelare la società nel suo complesso, anche chi non consuma.
Legalizzare la cannabis vuol dire più sicurezza, ma serve creare consapevolezza nella società civile. Molte persone non hanno idea del tema, vanno per sentito dire, tutto viene buttato nello stesso calderone di “guerra alla droga”. Ancora oggi devo sentire cazzate incredibili sul fatto che la cannabis porti poi a consumare inevitabilmente le droghe sintetiche. Ma le evidenze scientifiche di tutto ciò dove sono? L’unica evidenza scientifica è che, per quanto riguarda la cannabis, non c’è overdose, dato che il nostro corpo è dotato del sistema endocannabinoide provvisto dei recettori adatti a “legare” col principio attivo.
Il problema non è quindi la sostanza in sé, ma la conoscenza della sostanza. Chi meno ne sa, più ne ha paura. “Manifesto Collettivo” è un punto di partenza per mettere al centro del dibattito queste consapevolezze; far comprendere—fra le altre cose—che il sistema legislativo, come disegnato ora, incentiva lo spaccio, dato che punisce penalmente l’autocoltivazione. In pratica: chi decide di uscire dal mercato criminale dell’acquisto da spacciatori e dedicandosi così alla coltivazione domestica della pianta, viene punito.
Per questo, ripeto: bisogna entrare in un’ottica di diritti collettivi, non parlare sempre e solo del singolo caso. Altrimenti saremo condannati a non avere mai una discussione seria sull’argomento.
Antonella Soldo – Meglio Legale
In Italia fare un discorso scientifico, o semplicemente razionale, sulla cannabis è sempre stato difficile. Il tema è sempre stato tabù. Questo cosa ha provocato? Che l’informazione sul tema è stata lasciata agli spacciatori, al sommerso, al non detto.
Per ogni Gasparri che va in tv a dire che “la droga uccide”, vorrei ci fosse qualcuno che rispondesse: i morti per cannabis, in Italia, sono zero. Le persone che vanno in overdose lo fanno per mix di droghe sintetiche ed eroina, quelle stesse sostanze il cui spaccio non si riesce a contrastare come si deve. Perché qui la cosiddetta “guerra alla droga” punta sempre al basso: i sequestri di sostanze riguardano, per l’80 percento, la cannabis.
Questo non crea guerra alla droga. Questo crea sovraffollamento dei tribunali, con i giudici per le indagini preliminari che spesso si ritrovano a dover scarcerare per fatti di lieve entità. Siamo ancora qui a parlare di repressione mandando i cani nelle scuole: nel biennio 2018-2019 sono stati mandati 26mila agenti delle forze dell’ordine in circa seicento scuole.
Noi non promuoviamo un comportamento. Non sta a noi dire cosa sia giusto e cosa sbagliato. Noi prendiamo semplicemente atto che in Italia ci sono almeno 6 milioni di consumatori. Questo vuol dire che in metà delle famiglie italiane c’è almeno uno che consuma cannabis. Ecco perché un dibattito vero riuscirebbe a mettere al riparo dai rischi.
E poi c’è da fare un’ulteriore riflessione: al netto dei reati di lieve entità, non è vero che in Italia non si va in carcere. L’Italia ha le leggi più severe, in tutta Europa, in materia di sostanze stupefacenti. Il 35 percento dei detenuti è in carcere per violazione dell’articolo 73 del Testo Unico sulle droghe, laddove la media europea è del 18 percento. Un solo articolo di una sola legge porta in prigione un terzo circa del numero complessivo di detenuti.
Per questo, ripeto, serve un dibattito pubblico serio; il progredire della ricerca scientifica sulla cannabis; l’abbattimento di pregiudizi ideologici. Non serve inasprire le pene, serve liberare le forze dell’ordine e i tribunali da un carico assurdo di micro-procedimenti. Serve investire risorse nella repressione del narcotraffico ad alti livelli. Dei 22mila detenuti oggi in carcere per droghe, i grandi criminali sono 980. Il resto sono i cosiddetti “pesci piccoli.”
Ci piace tanto, in questo Paese, dire che vogliamo incentivare i giovani, l’agricoltura, la piccola imprenditoria: cominciamo col depenalizzare l’autocoltivazione, a creare le condizioni per un mercato libero della cannabis. In caso contrario, continueremo—come Paese—a incentivare lo spaccio e a favorire il monopolio delle mafie.
Fonte : vice.com