La cannabis in tutte le sue varietà è probabilmente una delle piante più antiche del pianeta ed è stata usata per migliaia di anni nel corso dell’evoluzione del genere umano, eppure vi è un feroce dibattito sul fatto che il gene cannabis sia monotipico (una sola specie) o politipico (fino a tre specie). L’incertezza esiste da quando Linnaeus ha parlato di specie singola (Cannabis Sativa, nel 1753) e Lamarck ha invece proposto le due specie (Cannabis Sativa e Cannabis Indica nel 1785). Resta il fatto che non esistono dati scientifici, almeno negli ultimi 60/100 anni, e quindi se la pianta sia originaria di una certa area è ancora poco chiaro e di fatto sconosciuto. Esistono cose sulla Terra che hanno una storia più lunga che il genere umano e perciò il meglio che possiamo fare è fare ipotesi sulla base di quanto conosciamo della pianta. Ci sono relativamente pochi esperti della selezione della cannabis e solo da 50 anni alcune persone son venute allo scoperto per difenderla e cercare di renderla comunemente accettata.
alla fine degli anni ’80 e dai primi anni ’90 la produzione di cannabis si è sviluppata in parte grazie all’Olanda e alla sua tolleranza verso di essa, in parte grazie all’implementazione delle tecniche agricole derivate dalla moderna agricoltura, e così oggi siamo capaci di clonare, conservare le madri per tutto l’anno e produrre sia semi che infiorescenze. Nel passato, invece la pianta di cannabis era un’erba stagionale come il basilico, il prezzemolo o il coriandolo e cresceva dal seme, mentre, da quando abbiamo imparato a conservare piante selezionate come madri, possiamo ora riprodurre una pianta selezionata e mantenerla in vita indefinitamente.
Per via dell’applicazione della legge da parte delle forze dell’ordine alla fine degli anni ‘70 e negli anni ‘80, ci fu una marcata diminuzione dell’importazione di cannabis coltivata all’estero, e ciò ha portato i coltivatori locali e i viaggiatori a coltivare indoor per evitare di essere scoperti. A causa degli spazi ovviamente limitati iniziò il processo di selezione e aumentò la qualità e l’omogeneità della cannabis. Considerato che la cannabis coltivata outdoor veniva dal seme, essa produceva piante sia maschili che femminili le quali creavano infiorescenze con semi il cui contenuto di THC e CBD era basso, poiché la pianta impiegava le sue risorse per produrre semi. Tuttavia, se le piante femminili non venivano impollinate e se tutte le piante maschili venivano eliminate per tempo, le infiorescenze producevano concentrazioni più elevate di THC e CBD e cime più pesanti e compatte che equivalevano a infiorescenze essiccate di cannabis di più alta qualità.
INBREEDING E BREEDING
Via via che i breeder e i grower domestici mantenevano certe varietà attraverso l’inbreeding (incrociandole con gli esemplari femminili selezionati dai loro fratelli o dai semi prodotti dal padre), essi selezionavano nelle loro growroom gli esemplari migliori che producevano infiorescenze più forti e compatte e così abbiamo assistito a uno sviluppo esponenziale della cannabis di alta qualità. Tuttavia, dato che i semi variavano leggermente di anno in anno e di generazione in generazione, la possibilità di manipolare le piante in crescita impostando determinate ore di luce (18 ore di luce e 6 di oscurità) ha permesso che esse continuassero a crescere invece che fiorire e poi morire. Ciò ha condotto alla clonazione e al mantenimento di una pianta madre per tutto il tempo in cui questo regime delle 18 ore di luce veniva mantenuto. Questo valeva sia per le piante di cannabis femminili che per quelle maschili. Le piante femminili producono le infiorescenze essiccate che utilizziamo, o se impollinate da un esemplare maschio noto le piante femmina produrranno semi e potranno poi essere usate per l’estrazione una volta separati i semi, così il THC (oltre agli altri componenti trovati sulla pianta) potrà essere usato in forma di hashish. Perciò sono sorte persone specializzate che tengono le madri in vita e vendono cloni, dato che la rotazione dei cloni avviene ogni 3 settimane. Un altro sviluppo è stato rappresentato dall’istituzione delle banche di semi le quali tenevano esemplari maschi per il polline e piante femmina da impollinare al fine di riprodurre lo stesso seme di anno in anno per la vendita. L’industria della cannabis, come la maggior parte delle industrie agricole, ha iniziato a suddividersi in diverse altre sub-industrie. I grandi coltivatori preferivano acquistare una quantità X di cloni femminili piuttosto che impegnare la growroom per tenere le madri in vita e sane per la clonazione (un coltivatore di infiorescenze lavora con un ciclo di luce di 12 ore mentre il mantenimento delle madri necessita di un ciclo di 18 ore di luce e 6 di oscurità). Altri coltivatori invece avrebbero comprato semi e li avrebbero fatti fiorire per selezionare nuove varietà combinando genetiche Indica e Sativa nella speranza di trovare il prossimo strain fenomenale. Una volta che la nuova selezione veniva considerata sufficientemente popolare, i coltivatori che tenevano le madri e che facevano i cloni ampliavano la propria offerta di piante e lentamente questo introduceva nuovi ceppi omogenei. Forse non era il modo più accademico per selezionare le varietà stando ai parametri della scienza botanica, ma si trattava di una sotto-cultura che doveva eludere il rispetto della legge e la maggior parte del lavoro veniva svolto clandestinamente e attraverso una rete sommersa.
Il breeding selettivo tradizionale di una pianta maschio con una pianta femmina è stato il modo in cui la maggior parte delle banche di semi ha iniziato la propria avventura nella selezione delle loro varietà. Alcune aziende hanno ricevuto riconoscimenti – le Cannabis Cup – in eventi svolti in Olanda durante gli anni ‘80 e ‘90 che hanno stabilito gli elementi fondamentali su cui si basano oggi le varietà ricreative e mediche.
SEMI FEMMINIZZATI E AUTOFIORENTI: DUE RECENTI RIVOLUZIONI
All’inizio degli anni 2000 Dutch Passion presentò i semi femminizzati. Le innovazioni nell’ambito della tecnologia agricola comprendevano l’induzione chimica di una pianta femmina per produrre un fiore maschio che usasse il polline del cromosoma XX per fecondare i cromosomi XX della parte femminile e quindi, il risultato era che il seme prodotto in questo modo era tutto XX o femmina. Questo è stato applicato principalmente dai coltivatori di infiorescenze e ha fatto risparmiare molto spazio e tempo ai grower di cannabis, dato che c’erano relativamente poche possibilità che questo tipo di piante producessero semi a causa della mancanza di esemplari maschi naturali. Naturalmente alcune varietà reagiscono meglio di altre a questo tipo di manipolazione. Permangono comunque ridotte possibilità di ermafroditismo, ossia che una pianta sviluppi entrambi i sessi in uno stesso esemplare, e questo può causare problemi ai coltivatori di infiorescenze.
L’uso di piante femmina autofiorenti è stata la nuova moda. Le piante che crescono da semi autofiorenti non dipendono dalla manipolazione della luce e quindi sono perfettamente pratiche per l’outdoor in paesi molto freddi che tradizionalmente hanno periodi estivi molto brevi. L’utilizzo di semi autofiorenti all’inizio della stagione di coltivazione e all’interno di serre significa che l’agricoltore o il coltivatore può completare un raccolto entro 70 giorni dalla germinazione, e preparare un raccolto di cloni per gli ultimi 3 o 4 mesi tra la fine dell’estate e l’autunno che in passato era l’unico raccolto outdoor dell’anno. L’unico problema con i semi femminizzati autofiorenti è che non si possono mantenere le piante madri e quindi ci si affida al lavoro dei coltivatori/breeder che selezionano e identificano le piante proposte per il trattamento chimico così da produrre, all’interno di una popolazione, maschi che impollinino le femmine, e quindi restringere sempre più la selezione dei tratti delle piante.
SELEZIONE DEL CHEMIOTIPO
Il più recente tipo di selezione di semi che ha avuto origine con il progetto della CBD Crew, ha cambiato le dinamiche di come possiamo usare la tecnologia e la scienza per selezionare le piante per poi ottenere semi con costituenti specifici, spesso indicati come chemiotipo. Questo metodo utilizza i test di laboratorio per identificare le sostanze chimiche presenti in una pianta ed è ampiamente adottato come processo medico per la produzione di semi e di piante. Spiegandolo in maniera semplice, una volta che una pianta di THC viene impollinata da una pianta di CBD, viene testata in laboratorio per esserne sicuri, i semi che genera mostreranno principalmente un rapporto di THC:CBD di 1:1 delle sostanze chimiche presenti nella pianta. Naturalmente ogni seme creato in questo modo potrebbe avere quantità differenti di ognuno dei principali cannabinoidi ma il loro rapporto rimarrebbe invariato. Questo ha permesso a molte persone che non avevano mai avuto a che fare con la cannabis di interessarsene, dato che potevano autoprodurre per uso medico. Il bisogno di un contenuto più elevato di CBD rispetto a quello disponibile sulle varietà esistenti, è stata l’applicazione iniziale di questo tipo di semi. Tuttavia, da allora ciò è stato adattato ai semi di canapa femmina (con meno dello 0.3% di THC), il che permette agli agricoltori di canapa di coltivare un seme che non produrrà maschi o semi e che è più redditizio da usare per la biomassa legale da cui ottenere estrazioni attraverso processi come la CO2, il metodo acqua e ghiaccio, il dry sift, il BHO, l’estrazione con etanolo e così via.
La recente scoperta e mappatura dei profili terpenici o le unità aromatiche presenti nella pianta sono al centro dell’attenzione. Questi componenti sono presenti in quantità basse e variano molto da una pianta all’altra. Ad ogni modo i loro effetti sono notevoli e in combinazione con i cannabinoidi stanno dando origine a nuove linee mediche che lavorano a più livelli all’interno dell’organismo. Siamo agli inizi della comprensione di queste relazioni complesse e il bisogno di ulteriore ricerca scientifica è essenziale se vogliamo capire in profondità cosa vogliamo replicare, per cosa e per chi!
Le genetiche negli ultimi 50 anni sono rimaste pressoché le stesse che abbiamo sempre avuto come base per la selezione della cannabis. Tuttavia i processi di selezione e i test di laboratorio hanno svelato il contenuto delle piante e ci hanno permesso di scoprire con certezza quello che già sapevamo ma non eravamo in grado di provare. Perciò la maggior parte delle statistiche basate sulla merce sequestrata potrebbero non aver mai costituito una base di dati accurati per la formulazione delle vecchie leggi sulla cannabis. Oggigiorno con la tecnologia e i test più sensibili e precisi possiamo comprendere correttamente cosa stiamo usando senza dover tirare a indovinare, come abbiamo fatto agli inizi del breeding. Con l’utilizzo della micropropagazione per mantenere una libreria genetica sana in uno spazio molto ridotto, siamo in grado di conservare molte varietà di cannabis e di reinventare le combinazioni genetiche su specifiche precise. Ciò che una volta era l’opinione dei primi breeder di cannabis, senza analisi definitive, ora è diventato completamente l’opposto e possiamo creare nuove varietà di cannabis su misura per soddisfare i bisogni e i requisiti di nuove medicine!
Fonte: www.dolcevitaonline.it